Firmato il protocollo Stazione IN

Anche la Caritas diocesana firma il protocollo comunale per la zona della stazione di Reggio Emilia

A poco più di un mese dall’incontro che, in Municipio, aveva avviato il confronto per costruire proposte di convivenza civile e pacifica, aiuto, inclusione e presidio del territorio nel quartiere della Stazione centrale di Reggio Emilia, ieri sera nello stesso Municipio i rappresentati di una ventina di associazioni di volontariato, organizzazioni umanitarie, sindacati, enti pubblici – fra cui la nostra Caritas – hanno firmato, con il sindaco Luca Vecchi e gli assessori al Welfare e Politiche per i migranti Daniele Marchi e alla Legalità Nicola Tria, l’intesa ‘Stazione In’ per la zona stazione centrale.

L’accordo prevede un coinvolgimento operativo, anche di società quali Stu Reggiane, Iren, Rfi e concentra le proprie azioni – aspetto importante, affinché si possa poi riscontrare la loro efficacia – in via prioritaria nell’area più prominente della Zona Stazione.
In questa Zona, si legge infatti nel testo dell’accordo, si è visto “l’incremento qualitativo e quantitativo delle situazioni di complessità sociale e personale, disagio, devianza, i quali in un ambito preciso e circoscritto del più ampio quartiere Stazione, necessitano di interventi straordinari e mirati”.
Il progetto mobilita e mette in relazione risorse sociali, capitale umano, esperienze consolidate sul territorio, competenze specifiche di carattere sociale, educativo, sanitario, sulle diverse culture di provenienza dei frequentatori del quartiere e sui potenziali di relazione, in grado di poter produrre, in maniera sinergica e mirata, progetti di aiuto umanitario e miglioramento della qualità di vita per tutti.
Tra le nuove azioni, l’apertura di un presidio di accoglienza socio-sanitario per un più facile accesso ai diversi Servizi da parte delle persone in condizione di bisogno.

La Chiesa è attiva da anni in zona stazione a Reggio Emilia e a fianco della povertà estrema, di strada, presente anche nella nostra città.
Attraverso l’attività della Caritas diocesana, di alcune parrocchie, di sacerdoti e volontari non è mai mancata la vicinanza a chi dorme in situazioni precarie e cerca rifugio nei pressi della stazione di piazzale Marconi. Gruppi di volontari delle Unità pastorali “Laudato sii”, “San Paolo VI” e “San Giovanni Paolo II”, accompagnati dai parroci, escono di notte da molti anni.
Ogni giorno, tutto l’anno, la Caritas diocesana accoglie nelle mense diffuse molte delle persone che abitano in stazione. Presso l’Ambulatorio Querce di Mamre chi non può accedere al Servizio Sanitario Nazionale viene curato e nelle Locande sono state accolte alcune di queste persone, accompagnate dal Centro di Ascolto diocesano, per fare fronte alle tante difficoltà che i senza fissa dimora manifestano. Il sabato di ogni settimana è disponibile il servizio docce presso la parrocchia di Sant’Alberto.
L’approccio della Caritas – e certo non da oggi – è quello di andare oltre la risposta al bisogno materiale e immediato, per costruire cammini di accompagnamento che si basano sulla relazione e sul riconoscimento della dignità di tutte le persone. Una filosofia perseguita da tempo, nei confronti di un numero crescente di destinatari.
Alla luce di questo impegno – spiegano il direttore della Caritas diocesana Andrea Gollini e i collaboratori – crediamo sia giusto e doveroso sottoscrivere il protocollo proposto dal Comune di Reggio Emilia. Lontani da interessi di parte, ci sembra necessario fare tutto il possibile per costruire una rete di realtà che possano dare una risposta all’emergenza ‘zona stazione’, condividendo progetti concreti e attenti alle persone. Siamo convinti che il protocollo sarà occasione per un lavoro strutturato, di confronto e di intervento, per migliorare la condizione delle persone, offrendo percorsi che partano dalla reale condizione di chi frequenta la stazione, come è stato per l’intervento alle Reggiane (Reggiane Off). Scegliamo, come sempre, di stare dalla parte delle persone che soffrono e di scommettere sulla solidarietà come prima forma di costruzione di comunità e come più forte deterrente alla paura e all’insicurezza. Crediamo che dove ci sia qualcuno che si vuole impegnare per chi soffre, lì debba esserci la Chiesa”.

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